Text by Gaetano Savatteri

C’è sempre un rischio quando ci si addentra nei territori della letteratura. E ancor più rischioso è farlo con una macchina fotografica, strumento che consideriamo oggettivo al punto da ritenere vero quel che abbiamo di fronte, sia al momento di scattare che al momento di guardare. Francesco Fossa affronta la sfida puntando dritto al cuore della mistificazione letteraria che sdoppia la Sicilia e la costringe a riflettersi in un altro da sé.

Se è vero quel che diceva Gesualdo Bufalino parlando della Sicilia come “isola plurale”, se è vero quel che sosteneva Leonardo Sciascia quando descriveva il sistema concentrico di isole dentro l’Isola (l’isola provincia dentro l’isola regione, l’isola paese dentro l’isola provincia e l’isola individuo dentro l’isola paese), a questo sistema di moltiplicazione progressiva bisogna aggiungere l’isola letteraria. In altre parole, l’isola che in natura non c’è. O meglio: la Sicilia dei libri, del cinema e della televisione.

Chi arriva in Sicilia si confronta con il doppio pirandelliano di questa terra. E si pone alcune domande. E’ più vera la Catania di pietra lavica o quella di Vitaliano Brancati? E’ più autentica l’Agrigento di oggi o quella che fu di Pirandello e ancor prima di Pindaro e di Empedocle? Questioni non semplicemente accademiche, se è vero che migliaia di turisti vanno in pellegrinaggio nella casa sulla spiaggia di Puntasecca per cercare il commissario Salvo Montalbano e la Vigata di Andrea Camilleri. Perché il luogo letterario e del mito può spostare non solo immaginazione e fantasia, ma anche soldi e persone.

La Sicilia si ritrova sempre a fare i conti con quel che è e con quel che appare. E il viaggiatore in Sicilia si ritrova sempre a cercare qualcosa che esiste e può esistere nella realtà oppure solo nei libri e nei film: un principe o un mafioso, un poliziotto o un eroe greco, un passato o un presente. Quando Francesco Fossa va sul set di Baarìa  gioca consapevolmente questa molteplice partita e ne riporta immagini ambigue, provenienti dalla terra di nessuno che sta tra il reale e l’immaginario, tra il vero e il verosimile. Le sue foto ci mostrano una città, le sue strade, i suoi manifesti ferme in un tempo indefinito, che non è oggi, ma che rientra nel luogo della memoria.

Certo, siamo in Sicilia. Sappiamo però di non essere in Sicilia. Sappiamo che il set del film di Giuseppe Tornatore è in Tunisia, eppure sotto i nostri occhi si spalancano squarci di Baarìa, il nome siciliano di Bagheria, la città di Tornatore. Fossa dunque sta fotografando la memoria del regista, ricomposta e assemblata sotto un cielo poco discosto dalla Sicilia. Eppure chiunque sia stato a Bagheria può riconoscere luoghi, angoli, insegne, case. Allora, Fossa fotografa la Bagheria che non c’è più o solo un set che presto non ci sarà più? Fossa fotografa la Sicilia o l’immagine che un siciliano d’ingegno come Tornatore ha della sua Sicilia?

Forse questo è il sogno di ogni fotografo: scattare immagini che raccontano un sentimento o un ricordo. Pensate: poter fotografare la Donnafugata del principe di Salina o il palazzo degli Uzeda di Federico de Roberto. Francesco Fossa mette piede nel luna park di ciascun fotografo – una realtà fotogenica costruita per essere vista e ammirata – costruendo un inganno. Ed è un inganno che nelle prime foto ci seduce e ci affascina. Ma a un certo punto, Fossa si sposta di pochi metri, cambia visuale, rompe la mistificazione e il patto implicito tra chi scatta e chi osserva. Dietro una carrozza ferma appare un’impalcatura, una quinta sventrata, un capannone incongruo.

Non sono stato abbastanza pronto a cogliere lo sfaglio. Vissuto per molti anni a Palermo, sono fin troppo abituato a vivere senza stupore nelle contraddizioni del carretto carico di limoni all’angolo del palazzo di vetrocemento, delle ville settecentesche svuotate dai bombardamenti del 1943 tenute in piedi dai tubi Innocenti, del portale barocco di tufo sopravvissuto tra un condominio e l’altro. Eppure la foto di Fossa ci avverte: attenti, qui c’è un trucco.

Le foto successive rivelano la cifra nascosta: sullo sfondo di una vecchia officina si profila il retro di un Tir, l’insegna liberty di una merceria è appoggiata a un bosco di ponteggi di ferro, i portatori stanchi della statua del santo si fermano in un pausa di riposo. Fossa ci avverte: ecco, vedete, questo è il trucco. Dopo avere percorso il terreno vasto dell’immaginario con i sui fondali finti, come avrebbe fatto Pirandello, Francesco Fossa squarcia il cielo di carta del teatro e da quel buco sembra arrivare una luce diversa e maligna che ci svela la finzione.

Eppure le foto di sbieco (le chiamo così per distinguerle dalla altre che non svelano la finzione) paradossalmente restituiscono ancora – e ancor di più – la Sicilia. Quelle impalcature, quelle macerie, quei capannoni nudi sembrano narrarci lo stridente presente siciliano che affianca la bellezza all’orrore, la ferocia alla grazia, lo sviluppo all’arretratezza. Quelle foto raccontano i quartieri di Palermo massacrati dal cemento, gli antichi palazzi devastati dalla speculazione edilizia. Le foto di sbieco raccontano come e perché Tornatore sia dovuto andare in Tunisia per ricostruire la sua Bagheria, ripulendo i ricordi dal cemento che negli ultimi quarant’anni ha stravolto la faccia di Baarìa.

Gli scatti di Fossa finiscono per innescare un corto circuito: tra la Sicilia per come è e per come appare, tra la Sicilia reale e quella letteraria, tra la Sicilia di oggi e quella di ieri. Il meccanismo si fa perfido e sublime nell’immagine che mostra un giovane seduto sul cofano di una Fiat 124. Chi è quest’uomo? E dove siamo? Con la sua felpa Juventus, il giovane somiglia a tanti altri – alcuni sbarcati a Lampedusa, altri arrivati dritti in terra di Sicilia – che percorrono le sgangherate strade dell’isola a bordo di vecchie auto per raggiungere un mercato, una fiera o un cantiere. Siamo in Sicilia o siamo in Tunisia? E chi è questo ragazzo: uno che è partito o uno che è tornato? Ma, soprattutto: è un pescatore siciliano o un attore tunisino?

Con le sue foto di sbieco, Fossa ci confonde e finisce per  restituirci una Sicilia di frontiera, terra tra i mari, sulla soglia incerta tra Europa ed Africa, indecisa se restare ancorata al passato o affrontare il futuro, isola di meticciato e di contaminazione, con i suoi volti arabi e normanni, con le sue incompiute e i suoi sogni, le opportunità e le occasioni perdute. Se è vero che la Sicilia è metafora del mondo (e se è vero che il cinema lo è della vita), fotografando di sbieco le metafore, da qualche parte la realtà spunta sempre.

Gaetano Savatteri