Chicago, 30 maggio 2011. Nel giorno della memoria una parata di reduci e di cadetti invade la città di Obama, ne occupa il cuore, il centro vitale e bianco. Sventolio di bandiere, sorrisi, divise d’epoca.

Dovrebbe essere una festa utile a rinvigorire il coraggio, l’onore, la forza americana. Poi il volto di un veterano che spinge la sua sedia a rotelle restituisce la dimensione del reale, quella della guerra e dei suoi effetti e che una rappresentazione da circo vorrebbe far dimenticare. Oltre le quinte del set la storia è un’altra.

Basta allontanarsi di pochi isolati per ritornare sulla terra e tuffarsi in un’altra dimensione.

La puoi leggere nei volti, negli sguardi seri o attoniti di persone che il sogno americano hanno smarrito, schiacciato dalla crisi economica, dalle guerre finanziarie che nessun esercito potrà mai sconfiggere. Tantomeno quello formato dalle reclute che sfilano tirate a lucido per la parata. Reclute – nere – come il Presidente nero di Chicago, con il quale si pensava di entrare in una nuova era ma così non è stato.

E la nuova guerra forse è peggiore della prima. Perché Bin Laden è morto. I terrorismi – bianchi o neri che siano – no. Mentre il destino si confonde in una girandola di emozioni.

Smarrito in un luna park affacciato sul lago, tra profumo di vaniglia e giostre impazzite. Per la gioia degli inconsapevoli.