Saltano, ballano, giocano come sanno, mimamando scene di lotta e di guerra. Sorridono. I bambini del campo di Lukole in Tanzania hanno capito che il momento è arrivato: si torna a casa. Ora si può. La guerra civile che in dieci anni in Burundi ha fatto oltre 300mila morti sta consumando il suo atto finale. E’ stata una sanguinosa guerra etnica, tribale, clan contro clan, che ha costretto – dal 1994 in poi – i loro genitori a scappare dal Burundi. Dieci anni dopo esistono finalmente le condizioni per ricominciare a sperare in una vita normale. Gran parte dei bambini di Lukole sono nati e cresciuti qui. Nelle capanne, in condizioni difficili ma sopportabili. Perchè qui almeno non hanno sofferto la fame e non sono mancate le medicine. Non sono bambini magri, scavati nel fisico. Hanno studiato in aule di fango col tetto di lamiera, con professori veri. Un lusso rispetto ai drammi che pesano sulle spalle di tanti altri bambini africani. La vita in un campo profughi però è una vita senza futuro. I loro genitori non possono lasciare il campo neppure per raccogliere la legna. Dunque, di conseguenza, non possono lavorare. Trascorrono la vita in apnea, con la memoria ancora macchiata dalla paura e dalle violenze che hanno subito in patria. Sono arrivato a Lukole con una missione dell’UNHCR, per seguire il rimpatrio di quelle famiglie che hanno deciso di tornare in Burundi. Hanno raccolto i loro pochi averi, li ho seguiti sui camion lungo le piste di terra rossa del Kagera. Un viaggio duro, il loro. Come quello affrontato dai profughi ruandesi rimpatriati dall’Uganda incontrati nella regione di Byumba. Sui loro volti, chilometro dopo chilometro, cresceva l’incertezza per quello che avrebbero trovato oltre il confine. Perchè dopo tanti anni le terre di questi agricoltori sono state spesso occupate. In Ruanda ancora oggi si respira un clima impregnato di paura. Sotto la cenere l’odio fra Hutu e Tutsi fatica a spegnersi. I Gacaca, i tribunali popolari provano a fare giustizia dell’orrido passato. A centinaia escono dai campi profughi, rimpatriano sognando una vita normale, autonoma, fatta di lavoro. In Ruanda come in Burundi. La normalità per superare il genocidio.

Francesco Fossa